Parte 2° - Sabato dei fuochi

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Cenni Storici


RITUALE DEVOZIONE ALLA
MADONNA SCHIAVONA DI CASTELLO

 

Il tempo della devozione alla Madonna Schiavona di Castello cade in primavera. Comincia il sabato dopo sabato santo e finisce il tre della croce, il tre maggio, il giorno del ritrovamento della croce sanguinante di Cristo. Gli anziani parlano di devozione e mai di ‘festa’, che peraltro non manca. L’occasione dell’incontro con la divinità in ambito rurale infatti rimane  timoroso e contenuto, direi composto, davanti al mistero del rinnovamento della natura esplosa in bomboniere di fiori dai teneri colori e rigogliosa vegetazione, un tempio di speranze e promesse sotto l’incombente minaccia del vulcano.
Il pellegrinaggio al santuario di Castello, in cima al Monte Somma o presso qualche cappella rurale che riproduce l’immagine della madonna ‘pacchiana’, contadina, strabica nella rappresentazione della lontananza del sacro, è sempre preceduto da mesi di preparazione cominciando dalla sistemazione delle vie e dalla pulizia degli spazi che poi accoglieranno i devoti. La raccolta delle offerte, come quelle per i santi delle varie chiese della Campania, ha una destinazione precisa: la riuscita dell’incontro con Dio, che non può essere che sovrabbondante di preghiere, di cibo, di suoni, di danze, di fuochi e portatore di uguaglianze sociali tra i devoti, come augurio del benessere che la rinnovata verzura promette.
I capi, convogliatori di risorse, sono o erano ‘sacerdoti’ laici che rimanevano casti nell’avvicinarsi della devozione. Un sacrificio, un concentrarsi per contenere e convogliare le energie nel tempo della primavera per fare copiosa l’estate. Un po’ come fa l’inverno con i suoi freddi purificatori.
Dopo la gridata invocazione alla divinità davanti al tempio per riportarla tra i mortali e il ricordo dei defunti che non presenziano più al rito, la comunità si stringe intorno ad un tavolo improvvisato all’aperto (o sotto teli di plastica se piove) e sciorina tutte le pietanze immaginabili di un giorno di vigilia. Non si mangia carne ma primizie delle ‘parule’. L’amicizia, la consanguineità, la vicinanza si consuma tutta.
La valorizzazione del lavoro delle mogli, poco visibili ma presenti nei sapori della più classica tradizione culinaria locale, grida alla montagna con una bianca tavola imbandita di profumi.
Il vino fa da fiume per trasbordare la precaria esistenza umana alla riva dell’essere (non dell’avere).
Si sciolgono allora i canti e le danze di incremento battendo con  punte e calcagni il sagrato e le ‘tammorre’ con mano e ritmo coribantico per il risveglio della terra dal torpore dell’inverno e dell’accumulo dei peccati. I fiori di carne giovane, roteante in coppia col ‘satiro’ sciolto dalla primavera o con l’anziano che ha movenze sacre, scolpite nel legno delle rughe, sollevano un velo di polvere che sale alle narici e al cielo.
La comunità dei devoti non è solo paesana ma si estende anche ai paesi vicini, che un tempo dirottavano la devozione prudentemente negli stessi luoghi ma in giorni diversi, per lo più nei lunedì successivi, detti ancora dei mariglianesi, dei pomiglianesi e così via.  
Prudenze e contrapposizioni di origine medievale!
L’altro elemento simbolico molto pregnante è l’albero della vita, rappresentato dalla pertica intarsiata, infiorata di ginestre e fruttata di collane di nocciole e castagne, d’arance. L’altro palo con l’immagine della madonna viene issato sul castagno più alto a rappresentare l’abbondanza del raccolto che si sollecita e si attende dopo il rituale il più conforme possibile alla tradizione degli avi.
La pertica a sera scende dal monte e viene offerta alla Madonna nel santuario di Castello, oppure si porta a valle alla compagna che ha atteso tutto il giorno il proprio uomo perso nel bosco tra selvatichezze e fuochi pirotecnici.
Un tempo gli anziani con giovani germogli di castagno costruivano il flauto dal tenero fiato intorno ai maestosi e beneauguranti falò, accesi su molti ‘tuori’.
Dopo questa pausa lustrale il contadino si dedica con devozione al lavoro dei campi sapendo che tutto quello che doveva essere fatto per coinvolgere la divinità è stato fatto.


2 aprile 2012
                                                                       


Angelo Di Mauro



 
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